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Charles Darwin, Sigmund Freud, Karl Marx
Sigmund Freud
karl marx

I Grandi dalla scrittura

Presentare una sezione grafologica caratterizzata da un titolo così generico richiede qualche precisazione. Innanzitutto chi sono i grandi: grandi scienziati, grandi artisti, grandi condottieri, caratterizzati veramente da grande ingegno o soltanto da una grande ambizione e grandi capacità di intrigo? Già questo primo interrogativo richiederebbe una lunga serie di considerazioni che esulano dallo scopo della sezione. In secondo luogo, ci si chiede se sia lecito partire dal presupposto, apparentemente ovvio, che una persona sia diventata famosa a causa delle eccezionali capacità che possedeva, che spingevano in senso finalistico in una data direzione. Grafologicamente questo non risulta sempre vero. Inoltre questa forma di riduzionismo psicologico a volte risulta troppo pedante e anche irritante nello sforzo di voler spiegare in dettaglio come e perché sia successo tutto, senza riuscire di fatto a spiegare neanche in minima parte l’altezza e la complessità delle situazioni a cui certi personaggi giungono. Lo psicologo americano J. Hillman ha riproposto recentemente il concetto di ‘codice dell’anima’, vale a dire l’idea “che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.” (Il codice dell’anima, Adelphi Ed., p.21) Ciò che siamo, in questa prospettiva, non è il frutto delle circostanze, dell’ambiente, del carattere che abbiamo ereditato, ma questi sono solo strumenti che sollecitano la percezione dell’unicità del nostro destino e contribuiscono a realizzarlo. In termini grafologici, la scrittura non spiega il nostro destino e spiega solo in parte la nostra storia, in quanto la personalità costituisce uno dei mezzi attraverso i quali il destino individuale si compie. In questo senso l’anima ci sceglie per vivere la sua vita, per fare quella determinata esperienza della realtà, attraverso un certo corpo e una certa personalità che sono in grado di reggere quella esperienza. Per questo un avventuriero che scopre un continente sconosciuto non può avere la stessa struttura di personalità che consente a un altro di passare anni ad affrescare una cappella: al di là di quello che può essere il potenziale intellettivo di entrambi, uno ha bisogno di audacia, irrequietezza e intraprendenza per muoversi in spazi quasi infiniti e l’altro di dominio totale delle sue energie per portare a termine un compito in condizioni quasi di immobilità fisica. Ma queste tendenze sono strumenti, non fini, in quanto la personalità non può spiegare se stessa, ma fa appello ad altro che resta al di fuori di sé: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi e, guarda caso, si ha proprio quella struttura di personalità che ci consente di vivere quelle, e solo quelle, determinate esperienze. Nel raccontare le personalità dei grandi ci limiteremo, pertanto, a prendere atto della struttura della psiche attraverso l’evidenziazione dei principali segni grafologici, e soprattutto di quelli che hanno ‘segnato’ in modo vistoso, per la loro presenza, o la loro assenza, o il loro squilibrio, l’individuo in esame. Ma mentre esaminiamo quello che l’individuo mostra di se stesso attraverso la sua struttura di personalità, non si può dimenticare ciò che non c’è e non ci potrà mai essere nella scrittura: l’anima che ha dato necessità e direzione a quella esistenza.

Charles Darwin, Sigmund Freud, Karl Marx

Come rivoluzionare l’immagine del mondo conosciuto

I nomi dei tre grandi indicati nel titolo vengono usati spesso insieme per sintetizzare l’attacco poderoso rivolto contro la rappresentazione mentale del mondo che la religione del tempo aveva elaborato e sostenuto per secoli: la Terra e l’uomo sono al centro del piano di Dio e quindi l’approccio investigativo allo studio della materia non può che riconoscervi, profondamente inscritta in essa, la bontà delle leggi divine per l’uomo. Inutile sottolineare che la teoria della selezione naturale di Darwin, di Dio paragonato al Super-Ego di Freud, e della religione intesa come oppio per il popolo di Marx, sono attacchi di una potenza inaudita rivolti contro questa immagine, non tanto perché per molto meno una volta si finiva sicuramente al rogo, ma soprattutto perché, come sottolinea con molta intensità emotiva Nietzche, “Cosa abbiamo mai fatto, a sciogliere questa terra dalle catene del suo sole? In che direzione ci muoviamo ora?… Non alita su di noi lo spazio vuoto?” E benché molti decenni ci separino dal pensiero di questi autorevoli pensatori, la lotta tra sostenitori e oppositori delle due inconciliabili visioni continua con la stessa, apparente intransigenza da una parte e dall’altra, in quanto non si esaurisce nella discussione critica delle diverse prospettive e argomentazioni scientifiche, ma coinvolge in modo molto più radicale due concezioni del mondo apparentemente antitetiche in merito alla causa prima dell’esistenza, materia o spirito; questioni che, con ogni evidenza, non possono avere risposta ‘scientifica’. L’interesse del grafologo, comunque, nei confronti di queste tre personaggi non è tanto di natura ideologica, quanto rivolto alla ricerca degli strumenti di espressione del sé che hanno permesso alla loro personalità di operare in modo così incisivo, di esporsi con il loro sistema di pensiero di fronte ad un sapere consolidato da secoli per trovarne il punto debole e con la forza delle loro argomentazioni, sviluppate quasi al di fuori dei tradizionali centri culturali, sono riusciti a rovesciare, nel senso letterale del temine, ampie impostazioni culturali consolidate da secoli; dei veri rivoluzionari nel mondo delle idee, portatori di un tale fermento culturale da infiammare sostenitori e detrattori in ugual misura. E anche se nessun nuovo approccio può essere considerato il prodotto esclusivo di un singolo, però il singolo è necessario per essere la mente che ha permesso a questo pensiero di esprimersi e la voce che l’ha pronunciato; che ha osato esporsi per dire ciò che non era possibile dire – in molti casi – senza perdere carriera, rispettabilità, onorabilità. Il destino che questi tre uomini hanno condiviso è stato quello di dar voce a idee di grande rottura, in cui successivamente si sono riconosciute grandi masse di persone, e l’hanno fatto con risorse estremamente diverse, in quanto non esiste un modello particolare, una struttura di riferimento che sia neanche lontanamente paragonabile o condivisibile tra di loro. Ognuno ha vissuto intensamente se stesso, le sue qualità, le sue ombre, ed ha trovato aiuto, per farsi strada, in modi molto diversi. Ad un certo punto il loro nome è diventato una bandiera, una provocazione, una semplificazione dottrinale, un manifesto ideologico del riduzionismo materialistico: allora gli esseri umani non sono niente altro che … un prodotto casuale nella feroce lotta per la sopravvivenza; dei bambini pieni di impulsi distruttivi e perciò bisognosi di essere tenuti a bada da un Padre/Dio da loro stessi inventato; appartenenti ad un mondo in cui l’economia detta le sue leggi spietate e tutto il resto è solo copertura ideologica funzionale a chi detiene il potere, religione compresa, anzi religione in primis. A livello grafologico ci chiediamo anche se questa semplificazione del pensiero, che a volte arriva a forme quasi di rozzezza, appartiene veramente alla struttura di personalità dei fondatori o è una conseguenza delle semplificazioni necessarie ad ogni forma di propaganda, senza dimenticare che potrebbe anche esserci un’altra spiegazione non evidente a prima vista.


Charles Darwin

Studiando la vita di personaggi del calibro di Darwin sorge sempre la domanda: come è possibile che scoperte scientifiche di tale portata vengano da parte di personaggi che potremmo definire degli outsiders.

Darwin sembra non riuscire a trovare un posto dove collocare se stesso: abbandona gli studi di medicina verso i quali prova scarso interesse; successivamente abbandona pure la carriera ecclesiastica. Sembra quasi di sentire le voci dei genitori: che ne facciamo di questo figlio che non sa inserirsi da nessuna parte ‘rispettabile’, che non sa che fare di se stesso?

Darwin, seguendo la sua passione per le scienze naturali, si imbarca per la più famosa crociera della storia, quella che gli fornirà il materiale su cui esercitare la sua mente prodigiosa. Questa esperienza di intensa osservazione del reale abbinata ad una logica ferrea lo porterà alle famose conclusioni che tutti conosciamo.

Nessuno meglio di Darwin può incarnare il mito dello studioso che, grazie all’osservazione attenta del mondo e al ragionamento rigoroso, è stato in grado non solo di portare argomenti decisivi a favore dell’evoluzionismo, inteso in senso generico come movimento culturale dell’800, ma anche di reggere la violenta opposizione religiosa che si scatenò nei confronti delle sue idee. Quanto fosse spiacevole, violenta questa opposizione lo deduciamo dal fatto che, nonostante la sua orgogliosa affermazione “È di enorme importanza mostrare al mondo che pochi uomini di prim’ordine non hanno paura di esprimere la loro opinione.”, nello stesso tempo riconosceva all’amico T.H. Huxley, che l’aveva difeso pubblicamente nel 1860 dall’attacco del vescovo di Oxford, “Onore al vostro fegato: io sarei morto prima di tentare di rispondere al vescovo in un’assemblea come quella.” (1)

Con quali risorse di personalità ha affrontato queste sfide?

L’analisi di personalità

La scrittura di Darwin a prima vista conferma che ci troviamo di fronte ad una personalità, usando la terminologia junghiana, che ha come funzione principale il pensiero, in quanto domina il segno ‘Larga tra parole’ sopra media, indice della spiccata disposizione al ragionamento e alla critica. Questo significa che, come scienziato, è innanzitutto affascinato dalle teorie che si possono estrapolare dai fatti, in quanto una scrittura che presenta una larghezza tra parole di ampio respiro è indice di una personalità che ama e ha la forza (se in un contesto di triplice larghezza equilibrata) di costruire teorie di ampio respiro, che siano in grado di raccogliere molti fatti. La potenza del pensiero razionale, come scrive Moretti, viene dal fatto che “La mente del ragionatore stacca, astraendo, con una specie di gusto di dividere, ciò che è essenza da ciò che è accidentalità in una cosa, ciò che è permanente ed immutabile da ciò che è fuggevole; e divide l’uno dall’altro con una divisione netta e ben decisa.” (T, 153). La scrittura di Darwin, in questo senso, è indice di spiccata attitudine alla filosofia della scienza.

L’approccio sensoriale che nutre l’elaborazione e la successiva costruzione teorica di Darwin è focalizzato, cioè molto mirato a specifici aspetti del reale. Non si tratta di astratte, profonde questioni filosofiche, ma parte da problematiche strettamente definite (scrittura Stretta di lettere, Acuta), come è evidenziato del resto dai suoi interessi: otto anni di studi per classificare i cirripedi, tanto per fare un esempio, costituiscono una base decisamente molto settoriale, anche frustrante per un teorico di largo respiro, su cui però la mente si può esercitare sui problemi posti dalla definizione e classificazione delle specie. Il gioco mentale, quindi, è tra l’osservazione acuta, radicata nel particolare che suscita interrogativi molto concreti, con la sua evidenza di fatto non inquadrabile nelle teorie dominanti, e la mente ragionatrice che si sente costretta a scendere in campo per ampliare l’indagine e la ricerca teorica di nuove spiegazioni che tengano conto dei fatti osservati. E qui c’è un altro importante aspetto relativo alla triplice larghezza presente in Darwin e che dovrebbe appartenere, di norma, alla mente di ogni scienziato, che è la generosità (Larga tra lettere) nella ricerca delle possibili cause degli effetti osservati, e quindi apertura nei confronti della complessità del mondo; il tutto sottoposto al lavoro del pensiero critico che tende a discutere fino all’esaurimento, con rigorosità logica e originalità concettuale, sugli aspetti e le contraddizioni del reale che hanno colpito la sua attenzione (Larga tra parole almeno 8/10).

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La potente combinazione data dalla triplice larghezza trova sostegno creativo interiore nell’intuizione (Disuguale metodicamente), nella continuità (Attaccata), nella tenacia (Angoli B), nella fermezza (Mantiene il rigo). Tende alla laconicità di concezione (Parca), favorendo così la tendenza alle scienze esatte, pur senza perdere nulla nell’accuratezza della definizione (Accurata spontanea).

Si tratta, con ogni evidenza, di un teorico profondo, raffinato, articolato, capace di comprendere le lacune del suo pensiero, di anticipare le eventuali contestazioni, di amarle quasi in quanto gli permettono di pulire la sua teoria da eventuali inesattezze che gli possono essere sfuggite.

Dal punto di vista sociale non è isolato (Pendente, Sinuosa), però ha la forza di mantenere la distinzione precisa del suo pensiero, senza accomodamenti che non derivino dal rigore logico e critico che lo caratterizzano. Avendo questa esigenza di argomentazioni precise e articolate, ha la forza, le risorse interiori di accettare l’isolamento piuttosto che svendersi, sfumare o aggiustare il tiro rispetto a pressioni che non derivino da posizioni razionalmente fondate.

Critica e polemica

La storia della diffusione del pensiero di Darwin suggerisce alcune interessanti precisazioni in merito alle ‘armi’ con cui furono condotte le varie, inevitabili battaglie conseguenti alla esposizione della sua teoria della selezione naturale.

La forza del pensiero critico di Darwin, in questo senso, non era una qualità che potesse rappresentare per lui una moneta facilmente spendibile, in quanto il suo argomentare necessitava sempre e comunque di argomenti fondati e pertinenti per esplicarsi. Darwin era abituato al confronto delle sue idee con molti scienziati del tempo, con i quali corrispondeva serratamente (lo testimoniano i 5 volumi di lettere pubblicati e le oltre tredicimila lettere catalogate); inoltre 20 anni di studi e di ricerche sono stati necessari prima che Darwin si sentisse pronto a presentare in pubblico le prove a sostegno della sua teoria dell’evoluzione. I suoi appunti privati testimoniano la varietà dei suoi interessi, le sue intuizioni e lo sviluppo delle stesse attraverso molti punti di vista prima di arrivare, tramite il confronto, a selezionare solo quelle documentate.

Questo era il campo in cui Darwin eccelleva: rigore critico nell’esame delle ipotesi avanzate, e il critico più rigoroso ed esigente di se stesso era proprio lui stesso, in quanto l’ipercritica che lo caratterizza (Larga tra parole molto sopra media) crea inevitabilmente forme di incontentabilità interiore, di continua rimessa in discussione, che diventa anche una forma di preoccupazione per la tensione continua verso l’acquisizione di maggiore competenza, maggiore rigore logico nelle argomentazioni e nelle prove, messe in campo solo dopo un lungo lavoro di triturazione interiore e di rallentamento indefinito nella conclusione cercata.

Ma il campo dove Darwin non seppe proprio destreggiarsi fu quello della polemica agguerrita che si scatenò in risposta alle sue teorie non a livello scientifico ma religioso, in quanto i suoi detrattori potevano permettersi di attaccare le sue idee ignorando completamente l’esame delle prove che lui aveva raccolto con tanta fatica nel corso della sua vita.

Entrare nel campo della polemica, grafologicamente parlando, richiede altre doti: oltre ad un’ovvia vivacità di spirito, che certo non gli mancava, richiede anche la capacità di concentrarsi su pochi punti essenziali, le proprie carte vincenti ma molto, molto semplificate, e sui punti deboli dell’avversario. Il segno Larga tra parole così elevato non lascia certo indifesa la personalità di Darwin, ma la critica, che può trascendere nell’ipercritica, non favorisce però quella semplificazione ideologica netta e chiara necessaria invece alla polemica, che appartiene piuttosto all’intelligenza acuta.

Darwin rimase sempre lontano dalla vita pubblica e dal clamore suscitato dalle sue idee: non tenne mai conferenze divulgative e non scrisse mai cose più accessibili di quelle che riservava ai colleghi. La tenace difesa di Darwin fu condotta da altri, quali ad esempio dal già citato T.H. Huxley che sostenne le teorie di Darwin attraverso varie azioni di natura quasi apologetica, che andavano dal contrastare l’attacco delle autorità religiose del tempo alla diffusione delle idee attraverso conferenze popolari.

Darwin, invece, non sapeva semplificare, non poteva polemizzare senza sentirsi snaturare, senza perdere la sua identità più profonda che veniva da quel ragionamento ampio, documentato, che cedeva solo dopo aver tutto controllato e ricontrollato fino alla saturazione.

La polemica se l’uomo discende o meno dalla scimmia, posta in questi termini, è qualcosa che semplicemente è di una semplificazione che nulla ha a che fare con la raffinatezza della sua personalità e con lo scrupolo straordinario con cui esaminava il mondo della natura, che tanto lo affascinava e di cui era un profondo conoscitore sia come osservatore che come teorico.


Sigmund Freud

Sembra che alcune persone abbiano la vocazione delle cause perse. Apparentemente per un medico e neurologo pubblicare nel 1900 un libro dal titolo L’interpretazione dei sogni (2) poteva significare la fine della propria credibilità; per non parlare delle insistenti osservazioni in merito ad un’altra sua fissazione, che ruotava intorno alle cause e alle conseguenze della rimozione della sessualità, decisamente un argomento ancora più sgradito di quello bizzarro dei sogni. Dati tutti gli insoliti e morbosi interessi di questo strano personaggio, sarebbe stato ragionevole prevedere per lui un destino di emarginazione, di isolamento sociale e culturale, al limite della legalità e delle accuse di oscenità.

E invece Freud diventa il simbolo di quella grande avventura intellettuale e clinica, le cui scoperte travalicheranno completamente i confini disciplinari della psichiatria e della psicologia per diventare parte integrante del linguaggio artistico e del linguaggio comune.

Freud iniziò a praticare la psicoanalisi nel suo studio di Vienna intorno al 1895 lavorando in condizioni di isolamento quasi assoluto, tanto che la sua persona rappresentava l’intero movimento psicoanalitico. Tuttavia doveva avere in sé il fascino del leader carismatico, in quanto fu in grado piuttosto velocemente di attirare intorno a sé un numero sempre crescente di medici.

Col diffondersi delle teorie freudiane e con l’allargamento dei fondamenti interpretativi la psicoanalisi diventò addirittura un approccio iniziatico globale alla vita, trasformandosi in una visione salvifica, quasi escatologica.

Il successivo rigetto di questa parte del pensiero freudiano spesso però fa dimenticare che cosa aveva significato per i medici dell’epoca un approccio diverso alla malattia mentale; quale raggio di speranza abbia rappresentato per lo psichiatra, relegato insieme con i suoi pazienti nelle corsie più inquietanti dei manicomi di allora, riconoscere che la malattia mentale poteva avere una sua logica, che poteva essere compresa, che poteva anche essere spiegata in base a fattori psicodinamici, quali ad esempio ricordi traumatici rimossi. Al posto di camicie di forza, il dialogo.

Freud individuò con precisione alcuni meccanismi con cui opera la mente nel campo dei meccanismi di difesa: la negazione, per cui parti di noi possono essere rimosse e cancellate dalla coscienza; e la proiezione che segnala la presenza dei contenuti rimossi, visti però al di fuori di noi. Scoprendo questa modalità di operare che appartiene alla mente umana, ha creato i presupposti culturali per cui la malattia mentale è diventata un terreno di esplorazione attraverso il disvelamento del linguaggio simbolico analizzato con la mente razionale.

È la nostra visione dell’uomo che è cambiata in questa dimostrazione di ciò che sembra – per logica di termini – di per sé indimostrabile: l’esistenza di una parte inconscia della psiche umana a cui indirettamente si può risalire, anche attraverso i sogni, che ci ricorda che non siamo padroni a casa nostra, in quanto la consapevolezza è quel faro che illumina una minima parte del processo mentale. Tutto il resto è un mondo misterioso che va esplorato, attraversato, compreso e riportato, in parte, alla luce. Se non viene compreso opera ciecamente; se viene compreso accetta qualche mediazione.

È chiaro che questo territorio è assai inquietante e infido di per sé, in quanto ognuno sa di avere i propri fantasmi interiori, che per essere conosciuti richiedono solo di essere attraversati. Ma chi mi dice che poi sarò ancora in grado di ritornare senza essere stato sopraffatto dalla mia stessa parte oscura che è entrata in risonanza con l’ombra dell’altro? Tutti coloro che si occupano di malattia sanno che c’è un limite oltre il quale entrare in contatto con la debolezza dell’altro, sotto forma di malattia fisica o psichica, sollecita il richiamo della propria debolezza interiore.

E parlando nel caso specifico di Freud, ci rendiamo conto che oltre ad essere un esploratore in un territorio totalmente sconosciuto (la psiche umana malata) e assai pericoloso, si avventurava in un campo socialmente visto come molto sconveniente (inconscio, sessualità), volendo mantenere nello stesso tempo la piena dignità connessa alla sua professione di neurologo, con conseguente riconoscimento nel campo scientifico, oggettivo e dimostrabile, e non certo essere confuso con un ciarlatano.

Dal punto di vista grafologico è ovvio l’interesse per cogliere le risorse di personalità che hanno sostenuto Freud nell’affrontare una situazione così destabilizzante non solo senza esserne personalmente devastato, ma anzi creando intorno a sé quel grande fermento culturale che diede origine alla psicoanalisi.

L’analisi di personalità

La scrittura di Freud lascia un po’ interdetti se si fa riferimento all’immagine classica del fondatore della psicoanalisi che ascolta in silenzio il paziente steso sul lettino, seduto alle sue spalle per non interferire in alcun modo con il flusso libero delle immagini e dei ricordi provenienti dall’inconscio del paziente in analisi.

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In realtà tutta la scrittura suggerisce l’immagine dell’interazione interpersonale intensa, diretta, basata su un forte bisogno di relazionarsi (Pendente) attraverso la ricerca continua di provocazioni (Acuta) per suscitare una risposta, e quindi l’apertura e la manifestazione dell’altro, sia esso un paziente, un collega o un nemico.

Perciò per lui era già un’impresa semplicemente tacere e lasciar parlare l’altro in quanto Freud, con ogni evidenza appartiene al temperamento dell’assalto: la personalità è caratterizzata dal segno Acuta, nel pieno dei suoi tre requisiti di angolosità, strettezza di lettere e altezza delle lettere, indice di acutezza di intelligenza e di spirito di contraddizione, che si esprime con notevole avventatezza e passionalità (Slanciata).

La sua intelligenza è fortemente originale (Disuguale metodicamente), quindi in grado di avere intuizioni profondamente creative anche in campo psicologico (Sinuosa), in cui si radica potentemente. L’intuizione viene portata avanti secondo le modalità proprie dell’intelligenza acuta, che “va alla verità per mezzo di assaggi, contraddicendo, scartando, smistando” (Sc, 48), e questo modo di procedere tortuoso rafforza la memoria perché il soggetto assimila il risultato attraverso la lotta (Acuta, Pendente). Infatti “ … l’intelligenza acuta arguisce sempre e con l’arguire apprende la verità e, a volte, anche più raffinatamente dell’intelligenza profonda, in quanto ha lavorato di più e nulla ha appreso se non con un controllo, quasi direi, petulante.” (T, 126)

La mente di Freud non è quella dello scienziato razionale, lucido, ma di colui che sente la potenza delle sue intuizioni e le difende a tutti i costi (Angoli A e B sopra media); mentre non ha a sua disposizione l’abilità dell’intreccio, per cui le sue intuizioni restano isolate e non riescono diventare teoria. Grafologicamente lo scienziato intuitivo, come Freud, che riesce a cogliere le meraviglie di un aspetto del reale, può diventare anche un teorico, cioè collegare le sue intuizioni in un contesto più ampio, solo se ha a sua disposizione sufficiente profondità nello sguardo per abbracciare i molteplici aspetti del fenomeno osservato (Larga di lettere sopra media) e adeguata potenza del pensiero critico (Larga tra parole sopra media). Entrambi i requisiti non appartenevano all’intelligenza di Freud, che rimase pertanto estremamente unilaterale nella sua visione psicologica dell’uomo. Per quanto riguarda la donna, poi, ammise egli stesso con molta sincerità che quello restava per lui un continente totalmente sconosciuto.

Può sorprendere, fino a un certo punto, che questo geniale indagatore della mente malata abbia egli stesso una personalità così inquieta (Acuta, Slanciata), così contaminata dall’irrazionale (Oscura, Intozzata I e II modo, Ricci della Mitomania), al limite egli stesso di essere travolto dalla sua spinta alla contraddizione così intensa e immediata (Acuta, Pendente, Slanciata), dalla sua emotività (Intozzata II modo), dal suo bisogno di avere sempre e comunque ragione (Angoli A, Intozzata I modo) da stremare le sue risorse fisiche (per non parlare di quelle degli altri), in quanto la personalità è sempre in una posizione di autodifesa, perché il mondo intero gli rimanda, tramite appunto la proiezione, questa spinta alla contraddizione e all’attacco da cui deve difendersi, ma che in realtà appartiene a lui.

Sotto molti aspetti si può dire che Freud ha potuto indagare il mondo dell’irrazionale perché ne ha sentito la potenza e il fascino su di sé, ne ha partecipato direttamente. Essendo la sua intelligenza acuta, quindi interessata maggiormente a mettere in risalto il lato negativo dei fenomeni osservati, l’ha interpretato come un mondo destabilizzante e minaccioso da cui è necessario difendersi; Jung, invece, con una personalità totalmente diversa, l’ha vissuto come un mondo numinoso in gradi di nutrire, con la potenza dei suoi simboli, la piccola parte razionale dell’uomo.

Ma per esplorare il mondo dell’inconscio in qualche modo bisogna essere disposti a farne esperienza su di sé, nel senso di concedersi questa esperienza, se la personalità è più equilibrata, come ad esempio avvenne per Jung, o di viverla così intensamente sulla propria pelle da non poterla negare, come nel caso di Freud; e nel suo implacabile punto di vista materialistico c’è tutto il suo desiderio di portare ragione e ordine nella psiche umana e di dominare le forze oscure che sentiva dentro di sé e che andavano riportate alla luce con la prassi terapeutica rigidamente definita – per arginare l’inconscio – che lui aveva elaborato.

Queste erano le sponde che lui aveva costruito, senza le quali l’esploratore in lui, che già aveva rischiato tanto in questo viaggio alla ricerca delle sue ossessioni, riteneva assolutamente impossibile procedere all’interno di un territorio così infido, pena l’invasione da parte di quel sottobosco di potenti istinti che il suo sguardo acuto aveva colto.

Critica e polemica

Esattamente in modo contrario a Darwin, Freud risulta eccezionale, brillante nella polemica e del tutto inadatto alla critica e all’autocritica.

Quando nel 1938, dopo estenuanti trattative condotte a livello internazionale, fu permesso a Freud di lasciare Vienna per espatriare, egli in cambio dovette sottoscrivere una dichiarazione secondo cui era sempre stato trattato bene dalla Gestapo. Freud firmò, ma aggiunse di suo pugno: “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chiunque.” (3) Non occorre specificare che a quel tempo con i nazisti non era il caso di scherzare; inoltre lui era noto come il “fondatore della psicoanalisi giudaica” e le sue quattro sorelle morirono tutte in un campo di concentramento. Eppure i nazisti dovettero incassare la sua battuta, perché anche se sarcastica e pungente nella sostanza, era ineccepibile nella forma. L’intelligenza acuta, se originale come quella di Freud e per di più portata alla psicologia, conferisce alla mente non solo l’abilità e il gusto per l’oratoria polemizzante, ma anche la tendenza a vedere immediatamente la parte vulnerabile in ogni cosa.

Freud vide chiaramente, ad esempio, la falsificazione in senso idealistico operata nell’immagine dell’uomo dalla cultura e dalla religione dell’epoca, e ne svelò le ipocrisie, i falsi moralismi, gli esagerati sentimentalismi, procedendo come lo può fare l’intelligenza acuta, con degli attacchi potenti e unilaterali, in quanto solo in questo modo poteva radicarsi in un ambiente così ostile; l’ha fatto non come un profeta del passato che porta verità scomode, ma come uno scienziato che parla in nome di verità razionali e dimostrate, secondo le esigenze della nostra epoca per cui se una cosa viene fatta passare per ‘scientifica’, allora è giusta.

La sua “scienza”, arditamente unilaterale, creò un fermento culturale incredibile, di cui ancora stiamo raccogliendo i frutti; perché la psicoanalisi gettò le fondamenta dell’odierna psicoterapia, cioè dell’aspirazione – se vogliamo molto idealistica e illuministica – che sia possibile curare con le parole, perché dentro la mente umana, per quanto irrazionale possa sembrare, resta la luce e questa luce può essere raggiunta se capita nel suo linguaggio simbolico e nelle sue ragioni più profonde.

La scoperta di questa parte della psiche umana certo non poteva essere patrimonio di un solo uomo, come voleva Freud per sé. L’eccessivo radicamento in se stesso gli ha impedito, ad esempio, di cogliere tutto ciò che di creativo poteva venire da altri, e di arroccarsi dentro una cittadella in cui solo i suoi ossequiatori potevano entrare. Ovvi limiti dell’intelligenza acuta. Ma se non fosse stato così radicato in se stesso, forse non sarebbe stato in grado di portare delle verità così scomode nel mondo, senza esserne devastato egli stesso.

Ancora della psicoanalisi, per esempio, non si è riconosciuto l’aspetto dirompente di questo messaggio: nessuno progresso reale potrà avvenire finché ogni individuo, ogni coscienza non si riappropria della propria ombra e smette di proiettarla addosso agli altri. Mentre nella nostra vita facciamo appello agli sforzi idealistici, all’entusiasmo, alla coscienza etica, a volte si tralascia la domanda fondamentale: chi sono coloro che propongono le esigenze ideali? Si tratta forse di uomini che cercano in questo modo di difendersi dalla propria ombra?

Quando il male è sempre fuori di noi, ben vengano gli interrogativi di Freud e le sue indagini sulla rimozione e sulla proiezione.


Karl Marx (1818-1883)

Ci si chiede come mai, nell’immenso, variegato paesaggio dei rivoluzionari del 1800, proprio Marx sia stato scelto come rappresentante ufficiale delle rivendicazioni dei diseredati, icona fonte di ispirazione in quel sofferto, intenso processo di trasformazione sociale che ha caratterizzato il mondo nei due ultimi secoli. Impossibile banalizzare o sminuire questa figura, considerato che “a cent’anni dalla sua morte, metà della popolazione mondiale era ancora governata da regimi che facevano riferimento al marxismo come ideologia ispiratrice.” (4)

Indubbiamente Marx in quanto a logica, dialettica, erudizione non aveva rivali; inoltre era considerato dispotico, irruente, appassionato, con l’inamovibile convinzione di essere sempre e comunque nel giusto; per di più dotato di eccezionali, raffinatissime capacità critiche, che lo mettevano in grado di massacrare (verbalmente) ogni avversario o presunto tale. Coraggioso oltre ogni dire, in quanto si scagliava sempre contro i pezzi più grossi, e tra i suoi preferiti c’erano sempre i capi di governo; questa sua audacia e impossibilità a scendere a qualche compromesso, è facile da immaginare, gli costò una vita assai dura dal punto di vista materiale, al limite della sopravvivenza fisica, e al di sotto anche di questa per molti dei suoi figli. Marx, perciò, in molti modi fece della sua vita un vero sacrificio in nome di ciò in cui credeva.

Tuttavia la sua vera carta vincente è stata l’impostazione teorica di ampio respiro del ‘socialismo scientifico’, basato sulla convinzione profonda, condivisa dai suoi seguaci, che la sua visione dialettica delle lotte di classe fosse un’analisi totalmente oggettiva di leggi economiche che una volta chiaramente individuate avrebbero permesso la previsione scientifica del futuro; ma non solo, avrebbero permesso di intervenire direttamente nel corso della storia stessa,  accelerando il processo rivoluzionario che lui vedeva comunque inevitabile. Perché il futuro non può essere arbitrario, ma deve rispondere in modo prevedibile se sono state capite, studiate abbastanza fondo le leggi nascoste. Da questa posizione apparentemente molto rigorosa nasceva il disprezzo di Marx verso tutti gli altri teorici socialisti/comunisti/anarchici dell’epoca, perché ritenuti degli utopisti e dei sentimentali in quanto non avevano analizzato, come lui aveva fatto, il processo storico in atto in un’ottica esclusivamente materialistica.

Quello che Marx non avrebbe mai ammesso era di essere egli stesso profondamente animato dalla visione idealistica di un nuovo mondo senza classi e senza sfruttamento che avrebbe finalmente liberato l’uomo dalle sue catene. A questa aspirazione del cuore  lui si permetteva di aderire solo perché ‘storicamente’ inevitabile  e ‘scientificamente’ dimostrata, quindi non illusoria. (E qui c’è tutta la convinzione degli uomini molto focalizzati per cui i sentimenti sono infidi, pericolosi, in ultima analisi inconsistenti.)

La cosa strana è che Marx, oggi totalmente rinnegato dalla sinistra in quanto scomodo ricordo di troppi fallimenti, comincia ad essere rivalutato proprio da alcuni dei suoi nemici, i ‘malvagi’ capitalisti, i quali non possono che trovare lusinghiera l’appassionata, famosa descrizione di Marx delle gloriose gesta compiute da questa classe: “La borghesia…ha rivelato il potere dell’attività umana. Ha creato opere ben più mirabili che piramidi egizie, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha condotto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e delle crociate.”  “Col suo dominio di classe, appena secolare, la borghesia ha generato forze produttive più numerose e più ingenti di quante ne avessero mai create tutte le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchinari, applicazione della chimica a industria e agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di intere parti della superficie terrestre, navigabilità dei fiumi, intere popolazioni come nate d’improvviso dalla terra – quale dei secoli passati poteva mai immaginare che in seno al lavoro sociale si celassero simili forze produttive?” (5)

E con grande lungimiranza Marx riuscì anche a prevedere il processo di globalizzazione a cui assistiamo ora: “La borghesia … ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. (…) Al posto dell’antica autosufficienza e dell’isolamento locale e nazionale subentra un traffico universale, una universale dipendenza reciproca tra le nazioni. E come nella produzione materiale, così anche in quella intellettuale. Le creazioni intellettuali delle singole nazioni divengono patrimonio comune. L’unilateralità e la ristrettezza nazionali si fanno sempre più impossibili, mentre dalle varie letterature nazionali e locali si sviluppa una letteratura mondiale.” (5) Questo in un momento storico in cui non si era ancora concluso il processo di formazione dei singoli stati.

Nell’ottobre del 1997 un numero speciale del “New Yorker” proclamò Karl Marx “il prossimo grande pensatore”, un uomo che ha molto da insegnarci in fatto di corruzione politica, tendenze monopolistiche, alienazione, mercati globali. Insomma un grande, geniale studioso del capitalismo.

Veramente imprevedibili i corsi e ricorsi della storia!

L’analisi di personalità

Non è necessario il parere del grafologo per riconoscere in questa scrittura una tremenda inquietudine interiore, l’impossibilità proprio di vivere una situazione stabile regolare, in quanto ogni pensiero, ogni istante richiede qualcosa di nuovo che deve essere colto, svelato. E appena viene svelato rivela la sua caratteristica sostanziale illusoria, quindi necessita di nuove indagini, di ulteriore approfondimento.

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L’intensità della curiosità intellettuale di quest’uomo viene innanzitutto dalla combinazione dei segni calibro piccolissimo/forte disuguale metodicamente, che sono entrambi due segni di difficile adattamento; uno perché conduce la personalità alla raffinatezza delle osservazioni, della discussione, della conclusione logica, e porta questa pretesa nella vita, nelle relazioni; l’altro segno grafologico, il Disuguale metodicamente, lo rende inquieto finché il suo sguardo non si posa sull’esatto desiderio del suo cuore, e si sa che trovare ciò che corrisponde al proprio desiderio di perfezione interiore nel mondo esteriore non è esattamente una cosa facile.

Il calibro piccolissimo, come quello di Marx che è sotto il millimetro, porta sempre alla eccessività di valutazione dei particolari, la tendenza e l’abilità alla penetrazione intellettiva, e per questo inevitabilmente attira la personalità verso le scienze di discussione e di ricerca. Mentre la disuguaglianza metodica, oltre che indicare direttamente l’originalità del pensiero e del sentimento, rafforza ancora di più il senso di incontentabilità, di irrequietezza e di totale e completa indipendenza di iniziativa, perché deve esprimere se stesso totalmente, senza accomodamenti.

Oltre a questi due segni, c’è una forte componente di emotività nella personalità (Intozzata II modo) che aumenta l’irrequietezza e l’intensità delle reazioni, togliendo lucidità – nel momento della reazione – alla mente già molto inquieta.

A complicare ancor più il quadro di personalità vi è chiaramente una forte difficoltà di arrivare alla fase conclusiva del pensiero, sia per una forma soggettiva di indecisione interiore (Titubante, Tentennante), sia perché oggettivamente il suo pensiero critico è un po’ squilibrato (Largo tra parole fortemente disomogeneo), perché il ragionamento procede ad intermittenza, arrivando ad essere ipercritico in alcuni momenti e del tutto istintivo in altri.

La combinazione grafologica data dal calibro piccolissimo con i segni di insicurezza soggettiva (Titubante, Tentennante) fa sì che la profondità, la ricchezza delle sue osservazioni (Minuta) inciampi nella minuziosità: a causa dell’indecisione interiore la mente non è mai paga di ciò che ha raccolto, sia pure nella sua ricerca accuratissima di tutti i fatti, le circostanze, le attenuanti, le aggravanti, perché non si sente sicura delle conclusioni. Perciò continua l’indagine mentale approfondendo sempre di più l’osservazione, trovando in questo processo un appagamento del suo bisogno di analisi minuziosa del reale, che vuol vedere a fondo tutti i particolari anche trascurabili dell’oggetto delle sue indagini, ma nello stesso tempo lo sfinimento di chi non sa come combinare insieme la crescente marea di osservazioni raccolte.

Questo complesso quadro va ancora arricchito con l’analisi delle difese che la personalità mette in atto, dirette e indirette: nella scrittura non è assente il segno Curva e – inaspettatamente – sono presenti anche delle aste con il concavo a destra, segno chiarissimo del fatto che in certo momenti Marx poteva anche essere buono e ‘remissivo’, ma la personalità è ben difesa dalla difficoltosità della mente (Minuta, Minuziosa), dalla ulteriore tendenza alla contraddizione data dal segno Rovesciata, rafforzata dall’intensità del segno Contorta, indice della tendenza spiccata al controllo su tutto. È chiaro che tanto Rovesciata che Contorta intensificano la spinta alla contraddizione e alla ribellione.

Ascendente, infine, conferma la spinta del sentimento ad arrivare dove intende lui, con forme di presunzione che derivano anche dall’impossibilità di un confronto diretto sul piano reale.

Il segno grafologico Oscura, dovuto qui alla forte disuguaglianza e all’assenza di accuratezza grafica, richiama l’estrema difficoltà a conciliare il mondo intenso delle intuizioni con l’esigenza di esprimerle con il rigore logico e la chiarezza espositiva che lui pretendeva per sé. Perché era questo che Marx pretendeva da sé: tutto il suo discorso doveva avere l’oggettività del procedere scientifico, cosa che per lui era tutt’altro che facile, data la sua personalità irruente, passionale, emotiva e nello stesso tempo indecisa. La pressione interiore a cui si sottoponeva quando doveva scrivere in forma propositiva (e non contestativa) si ripercuoteva con violenza sul suo fisico, cosa che lui sapeva bene. Marx era consapevole perfettamente, ad esempio, di che cosa gli era costato di somatizzazioni scrivere solo il primo volume del Capitale, oltre che 20 anni del suo tempo; gli altri volumi furono pubblicati da Engels dopo la sua morte, mettendo ordine tra le migliaia di pagine dei suoi appunti.

Nella sua personalità l’intenso bisogno di osservazione del reale (Minuta, Minuziosa) e l’originalità delle sue intuizioni (forte Disuguale metodicamente) da una parte sono una combinazione feconda per l’arricchimento continuo, e quindi le due funzioni si sostengono una con l’altra in un gioco continuo di rilancio; ma sono anche la croce l’una dell’altra, in quanto la personalità non è mai paga di ciò che ha raccolto perché non riesce mai ad arrivare a delle conclusioni che acquietino, che appaghino; a dire: sì, ho tanto lavorato però ho raccolto questo.

Questo per Marx non è mai possibile perché la sua scrittura è fortemente segnata da segni di insicurezza soggettiva, per cui lui è assolutamente sicuro solo di ciò che non vuole per sé. La sua mente si avvale di straordinari strumenti (osservazione minuta, originale) per sbaragliare gli avversari, quindi è in grado di concludere se cavalca l’onda della contraddizione. È ancora, come Freud, un’intelligenza di negazione: abilissima nel trovare le falle del pensiero altrui, ma che fatica enormemente a costruire un sistema teorico propositivo. Questo perché mancano la ponderazione, la chiarezza e la calma interiore.

Il suo sistema teorico nasce per opposizione: essendo la sua personalità particolarmente sensibile alla contraddizione (Minuta, Minuziosa, Disuguale metodicamente, Rovesciata, Contorta, Intozzata II modo), è proprio questa la molla che permette al suo pensiero di materializzarsi in conclusioni finalmente certe. Lo scontro è ciò che gli permette di definire esattamente ciò che lui non è, e in questo modo comincia a definire ciò che lui potrebbe essere. Tutto il suo mondo interiore, ricchissimo di idee, ma sempre bisognoso di ulteriori approfondimenti, incapace di concludere qualcosa su alcunché, improvvisamente grazie allo scontro diventa vita che scorre, idee che si definiscono da sole, che procedono come un fiume in piena e risolvono la condizione di stagnazione, di impasse in cui la mente tende a restare per eccesso di minuziosità (Minuta + Tentennante).

Critica e polemica

Nel contesto psicologico evidenziato dalla scrittura si spiega chiaramente perché le grandi opere teoriche di Marx siano in realtà delle lunghissime diatribe contro dei personaggi sconosciuti ai più, ma che scatenavano la sua sarcastica verbosità; lo stesso Engels lo pregava spesso di non sprecare la sua mente prodigiosa contro obiettivi così irrilevanti.

Perché un genio come lui, a cui tutti riconoscevano una raffinatissima formazione filosofica oltre che profondità e originalità di pensiero (molti degli stessi poliziotti incaricati di sorvegliare questo pericoloso rivoluzionario restavano affascinati dalla sua cultura e dal suo argomentare), aveva bisogno di scendere a forme di durezza polemica contro i suoi avversari, o presunti tali, spesso sconcertante per chi lo conosceva? Perché una mente creativa come la sua doveva abbassarsi a livelli così miseri, così pieni di livore, nell’argomentare contro le tesi altrui? A parte l’ovvio influsso dell’emotività, che è la diretta responsabile della sua aggressività verbale in quanto conduce la mente a reagire a pericoli immaginari, Marx è consapevole che questo processo di scontro gli permette non solo di definire se stesso, ma di uscire finalmente dallo stato di indecisione che lo perseguita, dall’eterno raccogliere dati. Intanto polemizza, ma quando avrà raccolto abbastanza dati, abbastanza argomenti, abbastanza prove, sicuramente la verità gli apparirà davanti con assoluta chiarezza e lui potrà finalmente mostrarla al mondo.

La sua indecisione, in un certo senso, è ciò che gli ha permesso di muoversi sempre in avanti, mai pago di ciò che aveva raccolto.

Chi lo aiutato a concretizzare ciò che altrimenti non era possibile fare solo con il suo spirito di contraddizione è stato l’amico Engels, che ne ha riconosciuto il genio, ma anche le debolezze. E quindi ha operato come solo l’amore può fare, sollecitandolo a concludere, perché Marx era sempre immerso in un mare profondo di nuove letture e di ulteriori approfondimenti; lavorando nell’impresa paterna per poter così mantenere il suo amico, perché Marx con ogni evidenza era incapace di mantenere un qualsiasi lavoro e se non fosse stato per Engels tutta la famiglia di Marx sarebbe morta di fame. Engels fornì a Marx anche la sua conoscenza di prima mano della classe operaia, perché Marx neanche sapeva cosa fosse un solo proletario, altro che la classe intera. Engels arrivò al punto da addossarsi la paternità del figlio illegittimo di Marx, per proteggere la reputazione dell’amico.

Come emerge dalla sua scrittura (Pendente, Fluida, Accurata, Attaccata), Engels riusciva a trasformare qualsiasi cosa in prodotto finito, confezionato, ma ha sempre riconosciuto che il genio creativo, nel loro sodalizio, proveniva solo ed esclusivamente da Marx.

Modestamente Engels ha scritto di se stesso: “In tutta la mia vita ho rappresentato il ruolo per cui ero stato creato: quello di secondo violino… Sono felice di aver avuto un primo violino eccellente come Marx.” (6)


 Bibliografia

  1. J. Howard, Darwin, Il Mulino, 2003, p. 17
  2. In realtà c’è una lieve discrepanza tra la data reale, novembre 1899, e la data ufficiale, simbolica del 1900.
  3. R.W. Clark, Freud, Rizzoli 1983, p. 529
  4. Francis Wheen, Marx, Mondadori 2000, p.3
  5. Karl Marx – Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, Newton Compton 1969, pagg.52-55.
  6. citato da Y. Kapp in Eleanor Marx, Einaudi 1977, p. 96.

I Grandi dalla scrittura

Presentare una sezione grafologica caratterizzata da un titolo così generico richiede qualche precisazione. Innanzitutto chi sono i grandi: grandi scienziati, grandi artisti, grandi condottieri, caratterizzati veramente da grande ingegno o soltanto da una grande ambizione e grandi capacità di intrigo? Già questo primo interrogativo richiederebbe una lunga serie di considerazioni che esulano dallo scopo della sezione. In secondo luogo, ci si chiede se sia lecito partire dal presupposto, apparentemente ovvio, che una persona sia diventata famosa a causa delle eccezionali capacità che possedeva, che spingevano in senso finalistico in una data direzione. Grafologicamente questo non risulta sempre vero. Inoltre questa forma di riduzionismo psicologico a volte risulta troppo pedante e anche irritante nello sforzo di voler spiegare in dettaglio come e perché sia successo tutto, senza riuscire di fatto a spiegare neanche in minima parte l’altezza e la complessità delle situazioni a cui certi personaggi giungono. Lo psicologo americano J. Hillman ha riproposto recentemente il concetto di ‘codice dell’anima’, vale a dire l’idea “che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.” (Il codice dell’anima, Adelphi Ed., p.21) Ciò che siamo, in questa prospettiva, non è il frutto delle circostanze, dell’ambiente, del carattere che abbiamo ereditato, ma questi sono solo strumenti che sollecitano la percezione dell’unicità del nostro destino e contribuiscono a realizzarlo. In termini grafologici, la scrittura non spiega il nostro destino e spiega solo in parte la nostra storia, in quanto la personalità costituisce uno dei mezzi attraverso i quali il destino individuale si compie. In questo senso l’anima ci sceglie per vivere la sua vita, per fare quella determinata esperienza della realtà, attraverso un certo corpo e una certa personalità che sono in grado di reggere quella esperienza. Per questo un avventuriero che scopre un continente sconosciuto non può avere la stessa struttura di personalità che consente a un altro di passare anni ad affrescare una cappella: al di là di quello che può essere il potenziale intellettivo di entrambi, uno ha bisogno di audacia, irrequietezza e intraprendenza per muoversi in spazi quasi infiniti e l’altro di dominio totale delle sue energie per portare a termine un compito in condizioni quasi di immobilità fisica. Ma queste tendenze sono strumenti, non fini, in quanto la personalità non può spiegare se stessa, ma fa appello ad altro che resta al di fuori di sé: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi e, guarda caso, si ha proprio quella struttura di personalità che ci consente di vivere quelle, e solo quelle, determinate esperienze. Nel raccontare le personalità dei grandi ci limiteremo, pertanto, a prendere atto della struttura della psiche attraverso l’evidenziazione dei principali segni grafologici, e soprattutto di quelli che hanno ‘segnato’ in modo vistoso, per la loro presenza, o la loro assenza, o il loro squilibrio, l’individuo in esame. Ma mentre esaminiamo quello che l’individuo mostra di se stesso attraverso la sua struttura di personalità, non si può dimenticare ciò che non c’è e non ci potrà mai essere nella scrittura: l’anima che ha dato necessità e direzione a quella esistenza.