


I Grandi dalla scrittura
Sylvia Plath, Camille Claudel, Virginia Woolf
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Camille Claudel (1864-1943)
Camille Claudel, scultrice e sorella del poeta Paul, nata e cresciuta nella provincia francese, approda non ancora ventenne a Parigi con tutta la famiglia. Molto presto incontra Auguste Rodin, quarantenne e allora agli inizi di una carriera che sarà strepitosa, ne diventa l’allieva e, a un momento imprecisato, l’amante. Questo sodalizio affettivo e artistico dura diversi anni. Poi, nel 1893, Camille sceglie l’indipendenza (ha 29 anni), abbandona l’atelier di Rodin e intraprende una sua ricerca, incurante dei successi mondani, nell’oscurità e nella povertà. Ma in questa solitudine sempre più ostinatamente cercata Camille Claudel inizia a dare i primi segni di squilibrio: vede crescere la fama di Rodin e si sente derubata delle sue idee. A partire dal 1905 (ha 40 anni circa) queste ossessioni, queste angosce si trasformano in idee fisse, poi in psicosi. Rodin diventa nella fantasia di Camille la mente di un complotto che mira ad annientarla. La sua crisi di identità, che non riesce a risolvere, la isola sempre di più. Dal 1905 si mette a distruggere le sue opere, nel 1906 cessa ogni attività artistica. Nel 1913, all’età di 48 anni, su richiesta del fratello Paul, viene internata in un ospedale per malati di mente, di dove non uscirà che il giorno della sua morte, avvenuta trent’anni dopo. La sua malattia mentale, la catastrofe radicale della sua esistenza, rimane un mistero ampiamente inesplorato. Camille Claudel in manicomio non era né violenta né aggressiva; col passare degli anni diventò sempre più tranquilla e chiedeva insistentemente di tornare a casa. Ma per il fratello famoso sarebbe stata un peso e per la madre pure (“tenetevela, ve ne supplico … ha tutti i vizi, non voglio rivederla, ci ha fatto troppo male”, così scrive la madre al direttore del manicomio senza riuscire a perdonarle le sue scelte anticonformiste). Di questa sua esperienza Camille scrive in una lettera, 8 anni prima di morire: “Sono precipitata in un baratro … Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo” (lettera a E. Blòt, 1935).
Alcuni biografi, per rendere la storia più comprensibile dal punto di vista del tragico destino di lei, vedono la sua carriera distrutta dalla viltà congiunta di due uomini: Rodin, il suo amante che l’ha sfruttata, e dello scrittore Paul Claudel, suo fratello, che l’ha fatta rinchiudere. Non credo sia possibile, tuttavia, senza alterare ampiamente i fatti, imputare a questi due uomini il suo crollo.
Da dove venivano le sue tendenze autodistruttive?
Se noi interroghiamo la grafologia per avere anche solo un vago indizio su che cosa possa essere successo per spiegare questa catastrofe a livello di personalità, bisogna riconoscere che qui non troveremo alcuna risposta diretta, perché non vi sono particolari squilibri nella grafia di Camille Claudel.
La scrittura, al contrario, presenta l’equilibrio della triplice larghezza, vale a dire il fondamento delle qualità che costituiscono l’autocontrollo dovuto a ponderazione, oltre che indice di facoltà ben sostenute a livello di profondità e di forza dell’intelligenza. Le sue facoltà intellettive, inoltre, vengono accentuate dalla presenza dei segni Angoli A (reattività), Mantiene il Rigo (fermezza), Attaccata (continuità), in quanto denotano la capacità di attivazione e di concretizzazione delle tendenze.
Il Disuguale metodico è presente, anche se in grado non elevatissimo, ma in combinazione con il segno Fluida; quindi indica la presenza di alcuni concetti originali che poi tendono a ripetersi. Diventa feconda nelle sue opere, ma non tanto originale.
La personalità, inoltre, è portata all’assimilazione per la presenza del segno Pendente, che rivela anche l’intensità del sentimento che tende ad affezionarsi fortemente e ad avere bisogno di un affetto intimo esclusivo. Qui troviamo degli indici un po’ contraddittori tra la contenutezza grafica complessiva e la pendenza grafica: da una parte il suo bisogno di essenzialità, di consumare in se stessa le impressioni che riceve, dall’altra la spinta all’affettività di abbandono. Il suo sentimento profondo nella sostanza (triplice larghezza), sicuro della forza della sua posizione (cenni di Ardita), portato anche alla reattività nella sua sensibilità (Angoli A) mal si adattava al ruolo che si era scelto: quello di giovane amante di un uomo sposato. La ponderazione è forte, la serietà del carattere pure e lo è anche l’affettività e questo rende di fatto impossibile accettare un ruolo di compartecipazione in campo affettivo. Se lo ha fatto, si è imposta un atteggiamento che non le apparteneva. Qui, inoltre, c’è una differenza di genere che andrebbe approfondita. Mentre mi sembra che a livello maschile venga retta con minori costi la duplice relazione moglie-amante, a livello femminile l’esperienza diventa fonte di maggiore sofferenza, per il diverso orientamento del sentimento maschile e femminile (è diversa l’enfasi posta nella polarità ‘oggettivizzazione/personalizzazione’ del partner sessuale).
Camille Claudel conosce le sue doti, la sua bravura, è una donna di grande sostanza, con qualche tratto di arditezza che forse lei stessa ha sopravvalutato, perché la struttura di fondo della personalità è basata sulla ponderazione (Largo tra parole) anche se non sempre lucida (larghezze non omogenee, alcuni ricci della confusione). Il segno Pendente è l’unico elemento che potrebbe averla portata fuori strada, non perché il segno sia così esagerato, ma perché va a rafforzare un carattere già molto determinato: affettivamente voglio questo e lo avrò. Lei apparentemente ha tutte le carte vincenti in mano con Rodin, è bella, giovane, intelligente, indispensabile a livello professionale da quanto è brava, ma nonostante questo lui non lascia la moglie per lei e perciò Camille deve riconoscere – a livello affettivo – di avere perso, lui aveva bisogno di entrambe. E per il segno Pendente ammettere questo non è certo facile, in quanto deve contrastare la propria tendenza primaria, che è quella di riversare il suo sentimento affettivo per ricevere affettività in modo esclusivo.
Però riconosciamo che in questo schema c’è qualcosa che va al di là delle caratteristiche di personalità e subentrano modalità comportamentali e reattive tipicamente femminili: la caduta nel pozzo nero dell’autodistruzione depressiva. La depressione diventa una modalità espressiva privilegiata del disagio femminile e penalizza tanto le donne tradizionali quanto, come abbiamo visto, il desiderio e il coraggio di essere una donna diversa.